Lavorando con le famiglie, a più livelli e spesso con diversi mandati e obiettivi, uno dei principali fattori protettivi che guida i miei interventi riguarda la fratria. Questo elemento, per quello che il mio stile sta sedimentando nel tempo, non credo sia collegato solo ad una formazione e ad un approccio sistemico-relazionale che necessariamente include anche i fratelli nell’ascolto, nella lettura e nell’intervento familiare. Ritengo invece verosimile che il mio preciso focus ad utilizzare – e non solo in termini strettamente psicoterapici – fratelli e sorelle sia connesso all’imprescindibile natura che i loro legami rivestono. Mi vengono in mente alcuni esempi.
I fratelli in terapia familiare
Quando una famiglia arriva in consultazione oppure è già ad uno stadio avviato di valutazione e intervento, la fratria ha un ruolo fondamentale nel leggere le molteplici connessioni relazionali di quel particolare sistema. Che la famiglia sia preoccupata per un membro fragile, sofferente o deviante, che i figli siano triangolati negli scenari dei conflitti coniugali o che sempre questi siano i partecipanti a turno di disagi e dolori che riconducono a staffette disfunzionali multigenerazionali, poco cambia da un punto di vista di salienza della loro presenza attiva all’interno del percorso terapeutico. Senza dimenticarci di zii e zie – a loro volta inevitabilmente fratelli di madri e padri – che a seconda delle trame familiari rivestono ruoli alcune volte addirittura decisivi, in relazione alle problematiche della famiglia nucleare in terapia.
Fratelli e disabilità
Quando ho a che fare con famiglie con membro disabile, anche se la primaria richiesta d’intervento riguarda il bambino in età evolutiva, laddove possibile includo sempre fratelli e sorelle. Solitamente hanno una sensibilità e un amore verso il fratello/sorella disabile (che sia disabilità fisica o intellettiva cambia relativamente poco) che non includerli rappresenterebbe almeno un doppio errore: non riconoscerli per i contributi che già danno all’intero sistema relazionale familiare e perdere la grande opportunità di sostenere anche loro. Questi sono infatti spesso i grandi non “ascoltati” di casa, perché le preoccupazioni girano tutte intorno al fratello/sorella più fragile. Inoltre sono in grado di dare una mano al lavoro collettivo, tanto da sembrare quasi dei “co-terapeuti” non formati al ruolo, ma lucidi e consapevoli (spesso più dei genitori) delle difficoltà del loro sistema familiare. Infine hanno spesso un tale quantitativo di energia, che spendono per la propria famiglia, per cui sarebbe sciocco non approfittarne per canalizzarlo in maniera più funzionale.
Fratelli e tempo di vita
Non dimentichiamo d’altronde che, nei giri di vite di ciascuno di noi, alla conta dei giorni è molto probabile che il legame fraterno sia quel particolare attaccamento che ha unito due o più individui per il lasso di tempo più lungo e prolungato rispetto a qualsiasi altro legame. Una cosa che mi ha sempre colpito è osservare le generazioni anziane che restano profondamente destabilizzate dai lutti dei propri fratelli. La mia personale considerazione è che non si tratti solo di un sentimento di paura verso la “fine”, vedendo svanire mano mano attorno a sé i propri fratelli quasi fosse un monito allo scadere del proprio tempo, ma che i legami così protratti e duraturi nel tempo siano quelli che sollecitano le radici più longeve. E ciò vale sia per la profondità dell’affetto che per quella dettata dal tempo: sono radici che hanno corso in profondità per più anni.
Quando mi trovo davanti una famiglia dove sono presenti due o più fratelli, anche se non rientra tra gli obiettivi terapeutici, mi viene quasi istintivo cercare di capire se anche per loro uno dei regali più straordinari ricevuti dai propri genitori è stato quello di essere fratelli o sorelle, oltre che figli.