Nella mia attività, soprattutto per quanto riguarda i ragazzi appena affacciatisi all’adolescenza, capita di dover sostenere i sistemi familiari di fronte a potenziali – o effettivi – abbandoni scolastici.
Il rischio più grande, nella mia esperienza, è quello di circoscrivere queste eventuali emergenze semplificandole come “crisi adolescenziali”. Lo definisco come rischio – e ad alto potenziale soprattutto se accettato e accolto come tale dal professionista d’aiuto – perché tende a convalidare una serie di premesse disfunzionali, portate dagli stessi membri familiari, che all’interno di un ipotetico continuum vanno dalla mistificazione del o di problemi più complessi e interconnessi, fino alla negazione della problematica come “normale” movimento proprio dell’adolescenza. Trasversale a queste posizioni vi è la criticità più importante: non permettere una visione più ampia del problema, utile ad attivare le risorse sia personali che dell’intero sistema (familiare, sociale, ecc.). Proprio per queste ragioni a monte, non è auspicabile fornire modelli di gestione dell’adolescente preconfezionati. Una sorta di sintesi operativa, concretizzabile in tre passi, è la seguente:
- ascolto dell’adolescente e della famiglia: preferibilmente in maniera congiunta e disgiunta, magari con l’ausilio di altri colleghi onde evitare vischiosità nei confini e nelle prime alleanze terapeutiche;
- ricostruzione lenta e prudente della storia familiare: fondamentale sempre, indispensabile se abbiamo di fronte adolescenti con DSA – Disturbi Specifici dell’Apprendimento;
- approccio multimodale in rete: attivando proprio le risorse degli altri contesti e delle altre agenzie educative coinvolte, così da valutare anche criticità potenziali e/o reali nell’ambiente scolastico, sociale, ecc.
Solitamente, quando arrivano all’attenzione, questi ragazzi riescono a portare alla luce inconsapevolmente aspetti dolorosi e contraddittori che vivono internamente, riassumibili in questo tipo di messaggio non esplicito: “qualcosa non va dentro casa e mi fa stare male, ma lo negherò e incolperò la scuola come istituzione fredda e capro espiatorio di tutti i mali”.
Chiuderei condividendo una riflessione che anima costantemente la mia attività, ovvero che non esiste l’adolescenza ma le adolescenze, tante quanti gli adolescenti.